Appunti sulle opere di numismatica edite a Napoli dal 1850 al 1870

In questo articolo – sintesi del lavoro pubblicato da Luca Lombardi su Anastatica. Inserto di letteratura numismatica della rivista Monete Antiche, n. 108 (novembre-dicembre 2019), a cui si rinvia per ogni approfondimento – saranno presentate le più importanti opere di numismatica edite a Napoli dal 1850 al 1870. Tale ventennio, nonostante gli intensi stravolgimenti sociali, economici e politici che seguirono la caduta del Regno delle Due Sicilie, fu estremamente vivace dal punto di vista editoriale, dando alla luce importanti testi che contribuirono a determinare il progresso scientifico nell’ambito dello studio delle antiche monete. Dalla trattazione, per ragioni di brevità, risulteranno escluse le opere collettive e le riviste, le quali verranno prese in esame in una prossima occasione.
Lo studio scientifico di una moneta inizia sempre con la consultazione critica delle pubblicazioni in cui questa è stata considerata, fino a risalire al libro in cui per la prima volta la moneta fu resa nota. Per studiare anche un solo esemplare il ricercatore può avere quindi la necessità di esaminare decine di volumi. Questi poi si moltiplicano quando a dover essere studiata è un’intera monetazione. Ne consegue che nella ricerca numismatica la conoscenza dei testi, anche antichi, è di fondamentale importanza.
Prima di presentare i testi editi nel periodo in questione, è necessario fornire una rapida istantanea delle più importanti opere stampate a Napoli nei decenni precedenti al 1850.


Il XIX secolo si aprì con la pubblicazione, nel 1802, del volume di Francesco Daniele Monete antiche di Capua con alcune brievi osservazioni (fig. 1). Quest’opera fu molto apprezzata da tutti gli studiosi del tempo per la qualità delle sue incisioni e valse all’autore l’ottenimento della cittadinanza onoraria della città di Capua.
Oltre vent’anni dopo, nel 1826 e 1827, il commerciante Francesco De Dominicis pubblicò il Repertorio numismatico per conoscere qualunque moneta greca tanto urbica che dei re (fig. 2), in due tomi, costituiti da ben 1123 pagine complessive. L’opera si annovera tra le più corpose di numismatica edite nel XIX secolo. In essa in forma di rubrica si trovano descritti il dritto e il rovescio delle monete, il modulo, il metallo e il loro prezzo di stima.


Nel 1836 fu la volta di Gennaro Riccio, che diede alle stampe Le monete delle antiche famiglie di Roma fino all’imperatore Augusto (fig. 3), studio sulle monete cosiddette familiari, arricchito di ben 56 tavole. La pubblicazione ebbe un notevole successo tanto che nel 1843 ne fu stampata una seconda edizione (fig. 4). La prima edizione risulta essere assai più rara della seconda. Sulla figura di Gennaro Riccio ci soffermeremo oltre, poiché sarà, come vedremo, uno degli autori più attivi del periodo oggetto di questo articolo.


Nel 1844 fu invece dato alle stampe il volume Monete cufiche battute da principi longobardi normanni e svevi nel regno delle Due Sicilie (fig. 5), a cura di Michele Tafuri e basato prevalentemente sulla ricca collezione di suo fratello Giuseppe Tafuri. Per la realizzazione del lavoro i fratelli Tafuri si affidarono al principe di San Giorgio Domenico Spinelli, numismatico ed esperto di scrittura araba antica. Il testo propone un insieme di monete irripetibile, perfettamente illustrato, che fa del volume un’opera di pregio.


Due anni più tardi, nel 1846, Giovanni Vincenzo Fusco scrisse Intorno alle Zecche ed alle monete battute nel reame di Napoli da re Carlo VIII di Francia (fig. 6). Nello stesso anno, il Riccio pubblicò l’opera Le monete attribuite alla zecca dell’antica città di Luceria capitale della Daunia (fig. 7), realizzata grazie anche a un’associazione spontanea di dotti cittadini di Lucera che si accollarono parte delle spese di stampa.
Nel 1849 infine fu curata una riedizione dell’opera di Domenico Diodati Illustrazione delle monete che si nominano nelle costituzioni delle Due Sicilie (fig. 8), stampata per la prima volta nel 1788. Rispetto all’edizione originaria la riedizione risulta arricchita da note inedite dell’autore, deceduto molto tempo prima, e da una tavola di monete. Con il volume del Diodati si chiude questo rapido sguardo alle opere edite a Napoli nella prima metà dell’Ottocento. Passiamo quindi ai testi oggetto di questo scritto. Come già accennato, uno degli autori più attivi del ventennio 1850-1870 fu il magistrato Gennaro Riccio.
Gennaro Riccio si interessò all’archeologia e alla numismatica, prediligendo le monete romane. L’occasione di occuparsi di queste monete gli fu fornita dal ritrovamento di un ricchissimo tesoretto rinvenuto nel 1823 nel territorio di Diamante, comune in provincia di Cosenza. Il ripostiglio doveva essere veramente ricco dato che lo stesso Riccio afferma di aver esaminato dello stesso non meno di 20.000 pezzi e di averne acquistati circa 1200. Assunto in magistratura, il Riccio ebbe occasione di risiedere in quasi tutte le province del Regno di Napoli e in ogni località fece importanti acquisti di monete, comperando anche intere collezioni di straordinario interesse.


Ma il Riccio si interessò anche di monete greche. Nel 1852 infatti scrisse il Repertorio ossia descrizione e tassa delle monete di città antiche comprese ne’ perimetri delle province componenti l’attuale Regno delle Due Sicilie al di qua del faro (figg. 9, 10, 11). Nel testo le monete appaiono elencate in tavole sinottiche, mentre note e considerazioni dell’autore sono collocate alla fine del volume in una sezione apposita. A spingere l’autore alla realizzazione dell’opera fu il desiderio di rendere noti i risultati delle sue ricerche e la volontà di sopperire alla scarsa precisione dei suoi predecessori. Il Riccio, infatti, in questa pubblicazione oltre a presentare diversi esemplari allora sconosciuti, ridescrisse tutte le monete già pubblicate nelle tavole del Carelli. Le tavole del Carelli erano state pubblicate a Lipsia nel 1850 e rappresentavano la più grande raccolta di monete della Magna Grecia del tempo, superata per rarità e numero di esemplari solo dalla collezione Santangelo, su cui ci soffermeremo in seguito.
Il Riccio possedeva anche quasi tutti i disegni delle monete mancanti alle tavole del Carelli, realizzati dal noto incisore Russo, ma non gli fu possibile inserirli a corredo del volume a causa degli alti costi di stampa. All’opera infatti furono aggiunte appena due tavole che riproducono pezzi presentati come inediti. Questa pubblicazione procurò al Riccio molti elogi, ma anche qualche critica negativa, come quella mossa dal numismatico Celestino Cavedoni, il quale, in un contributo edito nel Bullettino dell’Instituto di corrispondenza archeologica del 1853, non mancò di evidenziare l’alto numero di monete omesse dal Riccio e i diversi errori di stampa presenti nel testo. Tuttavia la preparazione del Riccio non poteva essere messa in discussione. Egli, d’altra parte, noncurante delle critiche, nel 1855 diede alle stampe la sua opera più importante e ricercata: il Catalogo di antiche medaglie consolari e di famiglie romane (figg. 12, 13), ovvero il catalogo della sua collezione.


Come già ricordato, il Riccio aveva già pubblicato in due edizioni, nel 1836 e nel 1843, un’opera sulle monete consolari. Dopo l’edizione del 1843 egli ne immaginò una terza, ma ne rimandò la realizzazione in quanto non era in possesso di molte monete rare, indispensabili per giustificare un terzo volume. Col tempo però la sua collezione si arricchì molto, tanto da essere considerata la raccolta privata più completa che si conoscesse. Così, nonostante gli mancassero ancora esemplari importanti, si decise a pubblicare questo Catalogo. Egli non mancò di affermare che, se dopo la stampa di tale volume avesse avuto la possibilità di acquistare i pezzi che gli mancavano, li avrebbe resi noti in supplementi. Il Catalogo descrive minuziosamente quasi 7000 monete ed è arricchito da sei splendide tavole a colori realizzate con il metodo della galvanoplastica (figg. 14, 15, 16).
La galvanoplastica è un processo elettrochimico che permette, attraverso l’elettrolisi, di riprodurre in metallo la forma di un oggetto. Con questo particolare metodo di riproduzione, le monete appaiono in rilievo, in modo da fornire al lettore l’impressione suggestiva di poter esaminarle dal vero e di poterle toccare. Due tavole presentano monete in oro, due tavole monete in argento, due monete in bronzo. Per questa splendida pubblicazione il Riccio ottenne elogi e riconoscimenti da tutto il mondo della cultura, comprese autorità politiche ed ecclesiastiche.


Dopo la diffusione del Catalogo di antiche medaglie consolari e di famiglie romane Gennaro Riccio reperì altre monete rare e inedite e le pubblicò in un Primo Supplemento edito nel 1856 (fig. 17). Questa pubblicazione si apre con una epistola del conte Bartolomeo Borghesi, che al tempo era considerato il numismatico più preparato sulle monete romane. La lettera è ricchissima di elogi rivolti al Riccio sia per il suo Catalogo sia per la sua raccolta di monete romane, definita la più ricca esistente in Italia. Il Borghesi, inoltre, si sofferma sulla felice idea di utilizzare la galvanoplastica per la riproduzione delle monete, la quale fornisce ai lettori la sensazione di possederle. In questo Primo Supplemento il Riccio descrive centinaia di monete romane, promettendo di fornirne al più presto le riproduzioni con la tecnica della galvanoplastica.
Dopo la stampa del Primo Supplemento l’attività del Riccio proseguì. Egli infatti raccolse molte altre monete rare che descrisse in un Secondo Supplemento edito nel 1861 (fig. 18). L’introduzione di questa pubblicazione è quasi del tutto dedicata alla scomparsa del conte Bartolomeo Borghesi, che il Riccio sostiene essere stato la sua guida negli studi numismatici. Nel testo l’autore descrive minuziosamente centinaia di monete, ma viene meno alla promessa fatta ai lettori nel Primo Supplemento, non fornendo le riproduzioni di monete con il metodo della galvanoplastica. Questa mancanza non era tuttavia dipendente dalla volontà del Riccio, infatti l’unico conoscitore residente a Napoli di questo particolare metodo di riproduzione era il tedesco Hendrik, il quale si era ritirato in patria. Recentemente il Catalogo del Riccio è stato oggetto di un interessante studio di Federica Missere Fontana, Pietro Baraldi e Paolo Zannini.


Lasciamo adesso gli straordinari scritti di Gennaro Riccio per dedicarci all’opera di un altro importante studioso: Giulio Minervini. Socio di diverse accademie e di varie società scientifiche di tutta Europa, il Minervini nel 1856 pubblicò il Saggio di osservazioni numismatiche (figg. n. 19, 20, 21). In quest’opera furono rese note molte monete greche inedite, mentre altre già conosciute vennero descritte diversamente rispetto al passato, il tutto accompagnato da interessanti considerazioni scientifiche. Il testo fu corredato di sette tavole disegnate e incise da Andrea Russo.
Circa la metà delle monete descritte nel volume appartenevano alla collezione di Luigi Sambon, studioso numismatico e autore a Napoli di due importanti opere su cui ci soffermeremo in seguito. Altre monete citate provenivano invece dalla raccolta del Principe di San Giorgio Domenico Spinelli e da molte altre importanti collezioni del tempo che si trovano dettagliatamente citate nella Prefazione del volume.


Un altro importante numismatico molto attivo nel periodo in questione è Giuseppe Fiorelli. Il Fiorelli nacque a Napoli nel 1823. Inizialmente lavorò come archeologo e numismatico finché ottenne la carica di ispettore della Soprintendenza e del Museo di Napoli. Nel 1848 fu coinvolto nei moti liberali per cui fu recluso in prigione, ma in seguito riottenne la libertà. Dopo la costituzione del Regno d’Italia divenne senatore e direttore degli scavi archeologici di Pompei, che condusse con sistematicità e rigore scientifico. Egli, infatti, invece di muoversi, come avevano fatto i suoi predecessori, alla sola ricerca di oggetti preziosi, divise gli scavi in quartieri e isolati, allo scopo di poter localizzare con precisione ogni reperto. Il Fiorelli intuì anche la possibilità di ottenere dei calchi delle vittime dell’eruzione colando gesso liquido nel vuoto lasciato nella cenere dai loro corpi. Questi calchi sono tuttora visibili negli scavi di Pompei (fig. 22).


Nel periodo tra il 1863 e il 1875, il Fiorelli cominciò la riorganizzazione delle collezioni del Museo Nazionale di Napoli. Stilò quindi un nuovo inventario degli oggetti, che sostituiva gli inventari di epoca borbonica redatti da Michele Arditi, da Francesco Maria Avellino e dal principe di San Giorgio Domenico Spinelli. Tale inventario è quello tuttora in vigore presso la Soprintendenza Archeologica di Napoli e Caserta. Gli oggetti conservati nel Museo furono inoltre descritti nel Catalogo del Museo nazionale di Napoli, costituito da diversi volumi. Sei di questi riguardano la numismatica: due illustrano la collezione numismatica Santangelo (fig. 23), quattro il Medagliere del Museo (fig. 24). Vediamo quindi da vicino il contenuto di questi volumi.
La collezione Santangelo fu iniziata a partire dalla fine del Settecento dall’avvocato Francesco Santangelo e comprende un gran numero di importanti reperti. Fu acquistata dal Municipio di Napoli nell’agosto 1865 per 215.000 lire e fu esposta al pubblico nel Museo Nazionale della stessa città. Le monete di questa raccolta vennero divise dal Fiorell in due serie e descritte nei due volumi citati editi nel 1866 e nel 1867. Nel primo volume sono descritte le monete della prima serie, quelle greche, che risultano essere quasi 13.000 e prevalentemente della Magna Grecia. Tale serie, infatti, include il più vasto nucleo di monete magnogreche del tempo, per numero di pezzi, qualità di conservazione ed esemplari unici o addirittura inediti.
Il secondo volume descrive la seconda serie che include le monete medievali e moderne e consta di oltre 1500 pezzi in oro, argento, rame e biglione. In questo testo imponente è la parte dedicata alle monete dell’Italia meridionale e della Sicilia, in particolare precedenti al XII secolo. Dopo la pubblicazione del Vergara degli inizi del Settecento era questa la prima volta che veniva presentata una raccolta così ricca di monete napoletane e siciliane.
Per quanto concerne il Medagliere del Museo Nazionale di Napoli, questo inizialmente includeva la collezione di Portici, la raccolta Capodimonte e le monete appartenute a Battista Carafa duca di Noja, per un totale di quasi 21.000 esemplari. Successivamente ad arricchire la raccolta si aggiunsero molte monete rinvenute a Pompei, la collezione Borgiana, la collezione Poli, la raccolta di re Francesco I, il medagliere dei monaci di Monteoliveto, il medagliere della Regia Zecca napoletana e diversi doni minori, per un totale complessivo di oltre centomila esemplari. Questo splendido tesoro non era mai stato correttamente classificato ed era conservato in sacchi. Fu il Fiorelli a classificarlo e a pubblicarlo nei quattro volumi del Catalogo editi dal 1866 al 1871.
Il primo volume descrive le monete del periodo greco, divise secondo un ordine geografico, tra cui spiccano esemplari di estrema rarità. Il secondo volume descrive le monete romane. Il terzo è diviso in due parti. La prima illustra le monete medievali dell’Italia meridionale e della Sicilia. Nella seconda parte sono descritte le monete coniate a partire dal XVI secolo. È inoltre presente un’interessante appendice che descrive bolli in piombo, gettoni e tessere. Il quarto e ultimo volume del Medagliere illustra il materiale che giunse al Museo dalla Regia Zecca di Napoli, a seguito del decreto reale del 19 marzo 1863. Il medagliere della Regia Zecca di Napoli era composto da migliaia di monete e medaglie, ma soprattutto da matrici, conii e punzoni utilizzati nella zecca napoletana a partire dal periodo di Ferdinando IV di Borbone.


Le ultime pubblicazioni su cui ci soffermiamo sono quelle di Luigi Sambon. Il Sambon fu capostipite della famiglia omonima, che diede all’Italia valenti studiosi e commercianti numismatici. Egli giunse in Italia negli anni Venti dell’Ottocento come esule volontario. Arrivato in Italia, visse prima a Firenze, poi a Napoli dove godeva di una grande reputazione per le sue conoscenze sulla monetazione della Magna Grecia. A Napoli scrisse la sua opera più importante Recherches sur les monnaies de la presqu’ile italique, edita nel 1870 e corredata di 24 tavole (figg. 25, 26, 27). Quest’opera fu concepita come una versione notevolmente ampliata e migliorata del lavoro Recherches sur les anciennes monnaies de l’Italie méridionale edito senza tavole nel 1863 (fig. 28).


Le opere presentate in questa sede sono le più rilevanti tra quelle stampate a Napoli al tempo dell’Unità d’Italia. Alcune ancora oggi rivelano un importante interesse scientifico, altre, invece, appaiono completamente superate dalle più recenti acquisizioni. Tutte però conservano intatto il loro valore di preziosi documenti che attestano i percorsi, spesso tortuosi, che hanno portato alla costruzione delle conoscenze, nonché la vivacità degli studi numismatici nel Meridione d’Italia.