Dopo il pieno successo dell’incontro in videoconferenza con il professor Giovanni Gorini, il professor Giuseppe Colucci torna sulla relazione dello scorso 30 maggio Storia delle monete dei re longobardi, che è rimasta interrotta a causa di eventi atmosferici inaspettati per intensità e durata.
La relazione sarà tenuta sabato 27 giugno 2020, alle ore 17:00. Seguirà una discussione, con possibilità per i partecipanti di porre, in diretta, domande al relatore. Per il collegamento è necessario inviare il personale indirizzo di posta elettronica all’email: some.menum18@hotmail.com
Agli interessati sarà inviato a titolo non oneroso il link necessario alla partecipazione in diretta. L’invito alla digital conference è rivolto a tutti, con il solo limite tecnico di 200 partecipanti, precisando che tutti coloro che hanno preso parte alle precedenti videoconferenze possono non inviare l’adesione i quanto già iscritti.
L’argomento che prenderà in esame il professor Colucci appare senza dubbio di grande interesse. Invasa l’Italia nel 568, i Longobardi si trovarono nella necessità di coniare monete a loro nome, ma non avendo un proprio sistema monetario decisero di imitare le monete bizantine che venivano coniate a Ravenna, sede dell’Esarca. Pertanto imitarono il tremisse di oro a nome di Giustiniano I (grammi 1,51 e lega del 95%) che, con piccoli aggiustamenti nella lega e nel peso, durerà per circa 60 anni (fase della monetazione pseudoimperiale) sino al re Ariperto I (653-661). Fu il re Cuniperto che dopo il 693 coniò una nuova moneta con la sua immagine nel diritto e quella di san Michele nel rovescio: fu una piccola vera rivoluzione non solo dal punto di vista artistico ma anche per la migliore lega (circa 96%) e del peso giusto (gr 1,42). Era la prima volta che veniva posta l’immagine di un santo su una moneta e san Michele ebbe questo privilegio. Questo bellissimo tremisse sarà coniato da tutti i re sino alla caduta del Regno nel 774 (fase della monetazione nazionale). Parallelamente, si coniavano nella Tuscia (l’odierna Toscana) tremissi imitativi di quelli degli imperatori Eraclio (610-641) e Costante II (641-668) che si distinguevano dagli esemplari padani per la forma meno larga e di spessore maggiore e perché presentavano nel diritto il nome della città con l’appellativo flavia e successivamente si aggiunsero i nomi dei re, Aistolfo e Desiderio (fase della monetazione federale). La difficoltà dello studio di questa monetazione risiede innanzitutto nella scarsità del materiale monetario, per alcuni re abbiamo pochissimi esemplari e talvolta una sola moneta. Inoltre, solo da alcuni decenni la ricerca archeologica ha usato metodi molto più raffinati con la salvezza di monete che altrimenti sarebbero finite nel terriccio di scarto. Ciò è ancor più vero per le pochissime monete di argento che disponiamo, che saranno tutte presentate nella relazione. I 4 tipi noti sono quelli con l’immagine dell’imperatore e nel rovescio il krismon oppure un monogramma; inoltre quello con la croce greca del diritto e monogramma nel rovescio, oppure con doppio monogramma. Il rame fu coniato in maniera esigua e solo di piccolo modulo. Tutta questa monetazione ha circolato nella parte settentrionale del regno, perché nel ducato beneventano circolavano monete ducali di chiara imitazione bizantina.